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Campanile di San Fortunato

Ultima modifica 24 novembre 2018

Sotto la grande cantoria in legno dell’organo realizzata alla fine del XVIII secolo su disegno di Carlo Murena e collocata sulla parete in cima alla navata sinistra del tempio di San Fortunato si apre una porta che immette in un ambiente del tutto simile, nella sua struttura, alle altre cappelle collocate lungo le navate laterali dell’edificio, sebbene di dimensioni minori. Era l’ultima cappella, la settima della navata sinistra, che venne a suo tempo chiusa ed utilizzata per le sepolture, come dimostrano le pietre sepolcrali ancora visibili, in origine intitolata a san Carlo. Tramite la scala a chiocciola si accede all’alto campanile, disegnato secondo il modello del San Francesco di Assisi, sebbene sia difficile precisare con esattezza gli anni in cui fu costruito: viene citato per la prima volta in un documento ufficiale nel 1327 quando, il 30 maggio, il camerlengo del Comune viene incaricato di pagare le tre scolte turris sancti Fortunati, da cui si deduce che la struttura facesse parte, al pari della turris episcopatus, cioè il campanile del duomo, del sistema di guardia cittadino e che già a quell’epoca, se vi si teneva un corpo di guardia, doveva essere abbastanza alta. In una delibera di pagamento datata 17 giugno 1328 si propone “che Pucciarello campanaro della campana di San Fortunato per salario del suo suonare detta campana all’ora terza e nona, a vespro e mattutino”, abbia trenta soldi cortonesi al mese, mentre in una riformanza datata 1339 viene stabilita una ricompensa per chi servì “a battere la campana di San Fortunato alle solite ore del giorno e della notte”. All’interno della cella campanaria, cui si accede salendo 150 gradini e dall’alto della quale si abbraccia con lo sguardo uno splendido panorama della città e delle colline circostanti, sono conservate cinque campane, la più grande rifusa nel 1923, due del Seicento, una del Settecento ed una quinta, detta “di Jacopone”, datata 1286. Nell’intenzione di chi ve le fece montare proteggevano la città dall’alto, come indicano le epigrafi che corrono lungo i bordi: sulla grande, originariamente fabbricata nel 1680, prima che venisse rifusa si leggeva A fulgore et tempestate libera nos Domine, cioè “Liberaci o Signore dal fulmine e dalla tempesta”; in un’altra, realizzata nel 1626, si legge Christus ab omni malo nos defendat. Barbara, Virgo Dei, modo memento mei, una terza ripropone il diffuso scioglilingua Mentem sanctam, spontaneam, honorem Deo et patriae liberationem, testo con valenza di scongiuro specie contro tempeste naturali. Nel lato della torre che aggetta dal fianco sinistro della chiesa è murata una piccola lapide con la frase Christus rex in pacem venit, Deus homo factus est, formula cristiana di forte capacità taumaturgica da mettere in collegamento con le funzioni stesse del campanile, la grande torre che esplica una preziosa funzione di guardia, scandisce giornalmente il tempo ed annunzia colle campane la presenza di Dio, ne propone giornalmente l’avvento e vigila sugli abitanti. La campana maggiore, pur non essendo forse la più grande della città, è certamente la più importante anche perché il suono, vista la posizione sulla cima del colle, arriva nitido ed inconfondibile ai borghi. Fino a qualche decennio fa veniva suonata a mano ed ogni volta era lasciata in posizione esattamente contraria alla sua gravità, col bicchiere rovesciato tenuto in instabile equilibrio da un bastone puntato a terra: quando la volta successiva si voleva attaccare a suonare, si toglieva all’improvviso il bastone lasciando che la campana desse un gran rintocco.

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